Kifrin

Progetto: Haditha Dam; programma internazionale di salvataggio dei siti archeologici dell’invaso della diga sull’Eufrate
Sito: Kifrin
Direttore scientifico: Antonio Invernizzi
Direttori di scavo: Paolo Fiorina, Antonio Invernizzi, Elisabetta Valtz, Roberta Venco Ricciardi
Anni: 1980-1983

Le ricognizioni e gli scavi condotti nel sito di Kifrin tra 1980 e 1983 rappresentano il contributo italiano al progetto di salvataggio che precedette la costruzione della diga di al-Qadissiya e la creazione dell’invaso sull’Eufrate a monte di Haditha (Haditha Project – State Board of Antiquities and Heritage of Iraq). Cinque campagne di scavo hanno riportato alla luce le strutture di un ampio insediamento fortificato (fasi partiche e romane di II-III secolo), formato da una città e da una cittadella in un settore strategico di fondamentale importanza per il controllo di un corridoio avanzato del limes romano sul Medio Eufrate.

La storia

Kifrin è la Bechchouphrein dei ruoli dureni, documenti di pergamena e papiro dagli archivi della XX Cohors Palmyrenorum che ricordano lo stanziamento di soldati e guarnigioni nell’avamposto sul fiume. Il sito è collocato sulla riva orientale (quella “partica”) dell’Eufrate, tra le isole fortificate di Telbis e Bijan, 130 km circa a valle di Dura Europos. Kifrin sorge su di uno sperone roccioso che domina la riva coltivata del fiume e controlla l’ampia ansa verso ‘Ana. Il sito fu incluso in epoca romana in un sistema di avamposti e centri fortificati che costituivano punti chiave del sistema difensivo di Roma (come ‘Ana, Ertaje, Telbis e Bijan) lungo il fiume. L’estensione e la monumentalità delle strutture fanno di Kifrin il più ampio ed importante insediamento fortificato a valle di Dura Europos.

Restano oscure le vicende specifiche che portarono all’abbandono della roccaforte e la fine di Kifrin. Lo scavo non ha rilevato cospicue tracce di distruzione, seppure i frequenti restauri delle mura e una fossa comune attestino scontri, anche violenti, qui avvenuti. L’assenza di monete dopo Gordiano III (una sola moneta di Ardashir proviene da fuori le mura) sembra avvalorare l’ipotesi che l’abbandono della roccaforte sia avvenuta forse già al tempo di Severo Alessandro e comunque prima della seconda agoghè di Shapur (circa 250 d.C.). La presenza di emissioni di Gordiano III può forse essere riferita ad una temporanea rioccupazione del sito o ad un ultimo tentativo di mantenere il controllo su questa parte di fiume.

L’impianto del sito si suddivide distintamente in due settori: la città, protetta a SW dal corso del fiume e sul lato opposto affacciata sulla Jazira dove corre una lunga linea di mura turrite, e la cittadella all’estremità occidentale dello sperone roccioso che controlla l’ansa del fiume. Seppure con alcune differenze di tecnica e di struttura, le mura di città e cittadella sono costruite in una tecnica a sacco che impiega materiale locale, pietre e conglomerato (talora cocci) misti a malta di gesso. Le due cortine sono articolate in torri quadrangolari aggettanti che sono leggermente più grandi e distanziate nella cortina della città. Tre fossati esterni alle mura cittadine, probabilmente scavati in una delle ultime fasi di frequentazione, corrono paralleli alla linea di mura per poi girare a 90 gradi ed entrare nell’area interna alla città tagliando le difese. L’analisi preliminare della tecnica costruttiva e di alcune relazioni strutturali tra le murature sembrerebbe avvalorare l’ipotesi che la costruzione della cittadella sia da collocare più tardi rispetto alla città. All’interno di ogni singolo settore comunque, città e cittadella, si riconoscono più fasi edilizie per le quali è ancora difficile elaborare una cronologia assoluta puntuale per la scarsità di materiale sicuramente databile prodotto dagli scavi.

La città

Nella città, indagata solo in parte, il centro ufficiale era costituito dagli Edifici A e B. Di questi, il più monumentale era l’Edificio A la cui destinazione è ancora discussa e oscilla tra quella civile-militare e quella religiosa. Al di fuori del recinto dell’Edificio A, a ridosso di esso presso il suo angolo settentrionale, gli scavi hanno riportato alla luce l’Edificio B, forse di natura religiosa.

Un terzo settore che ha restituito cospicue tracce di edifici e dispositivi è quello presso l’angolo settentrionale delle mura cittadine (Area D), laddove si sono registrate due principali fasi edilizie. Ad un primo edificio, forse caratterizzato da un cortile porticato addossato alle mura si sovrappose (forse all’epoca della costruzione della cittadella e del ripristino o ampliamento delle mura) un lungo edificio composto da stanze disposte in linea ed interpretato già dagli scavatori come caserma. La sua stretta reazione con le mura è a favore di tale interpretazione.

L’Edificio A sorgeva al fondo di un ampio temenos che includeva stanze e dispositivi addossati al suo lato interno e un’edicola al centro dell’area aperta. L’Edificio A risultava sopraelevato rispetto al cortile su di una piattaforma a gradini; la sua articolazione planimetrica prevede la giustapposizione in linea di ambienti più larghi e ambienti più stretti, aperti sul lato di facciata con due ampi ingressi e due finestre a grata centrali. La facciata dell’edificio era ritmata da semicolonne a capitelli ionici (forse anche corinzi su di un secondo ordine) e sia l’esterno che l’interno dovevano prevedere una ricca decorazione in stucco, purtroppo rinvenuta in stato troppo frammentario per una sua puntuale ricostruzione. Tra i frammenti di stucco ricorrono belle cornici a palmetta e ad astragalo, oltre che motivi figurati forse appartenenti a scene complesse.

L’Edificio B è un grande iwan centrale, fiancheggiato sul lato nord da due ambienti allineati e su quello opposto da un’area scoperta. Qui sono stati riportati alla luce i resti di vasche e bacini, forse rituali, e di un corpo scalare addossato all’edificio che consentiva l’accesso al livello superiore o al tetto. L’iwan B, forse l’elemento di fattura più squisitamente partica dell’intero impianto di Kifrin ricorda le soluzioni di Assur e di Hatra, centri non distanti dall’avamposto fortificato, e l’ipotesi di una destinazione religiosa ben si adatterebbe oltre che ai suoi caratteri planimetrici anche alla ovvia presenza di orientali tra le truppe stanziate nel sito.

La cittadella

La cittadella sorge all’estremità dello sperone roccioso che si protende verso il fiume, su di un terreno per la verità più basso rispetto alla città: è questo un possibile primo indizio che può suggerire una sua fondazione in epoca successiva a quella della città. L’ingresso principale all’impianto era dal lato del fiume e protetto fra torri. Il settore (meridionale) presso l’entrata principale ha restituito strutture frammentarie, ma dagli esigui resti sembrerebbe possibile anche in questo caso riconoscere un iwan. Siamo meglio informati sull’edificio che si addossava alle mura all’angolo opposto della cittadella, quello settentrionale, un sontuoso edificio residenziale contraddistinto da un cortile colonnato quasi addossato alle mura, una sorta di atrio di ingresso e altre unità dislocate lungo le difese. L’impianto planimetrico rientra nei tipi dell’architettura residenziale privata e l’edificio è forse da intendere come residenza del comandante delle truppe stanziate a Kifrin: la decorazione a stucco che arricchiva alcuni ambienti sembra avvalorare questa ipotesi. Fuori le mura della cittadella, subito a fianco dell’ingresso principale alla roccaforte, si trovano le cosiddette terme esterne addossate alla cortina, in parte costruite in mattoni cotti, in parte scavate nella roccia del declivio. L’impianto, in questo caso, è il tipico row-type assiale che spesso ricorre in ambito militare e proprio in prossimità delle mura di fortificazione (di campi, cittadelle, città).

L’impianto meglio noto e più significativo è, tuttavia, quello delle cosiddette Terme Interne, nel settore sud-ovest della cittadella. L’edificio aveva originariamente un carattere residenziale che forse mutò nel tempo quando, in una seconda fase edilizia forse databile ad Alessandro Severo, sul lato orientale del cortile porticato centrale si inserì un compatto blocco termale. Questo ha un impianto analogo a quello dei piccoli impianti termali (“small baths”) dei centri cittadini ed in particolare trova confronti, prossimi cronologicamente e geograficamente, a Dura Europos o nei più tardi impianti della Siria romana (Dipsi Faraj, Brad, Serjilla).

Materiali e cronologia

I costumi funerari che emergono dalle testimonianze di Kifrin sono quelli tipici dell’ambiente siro-mesopotamico seppure si registrino diversi tipi di sepoltura. Oltre ad alcune inumazioni in giara doppia (Doppeltopf) di età neoassira, Kifrin ha restituito ipogei scavati nella roccia (particolarmente numerose le camere funerarie scavate nella roccia ed indagate da una missione irachena nel vicino cimitero di Majwal), sepolture in fossa o a camera sotterranea. La ceramica, le poche figurine di terracotta, i frammenti di stucco, le iscrizioni in aramaico (soprattutto hatreno) riconducono ad un ambito prettamente locale. La brittle ware e quei prodotti che più facilmente possono essere ricondotti alla presenza romana trovano calzanti confronti con altre roccaforti come Dura e Ain Sinu. L’attribuzione cronologica delle strutture di Kifrin è generalmente all’epoca severiana (III secolo d.C.). In questo periodo la roccaforte di Kifrin fu probabilmente rinforzata militarmente con la costruzione della cittadella e l’ampliamento (o rifacimento) delle mura, interventi che si inserirono però su di un insediamento precedente che ebbe la sua importanza economica, strategica e commerciale anche in epoca partica (II secolo d.C.). Le circa 60 monete emerse dagli scavi si datano prevalentemente tra Settimio Severo e Gordiano III, seppure un numero significativo di esse (circa un terzo) risalga invece al II secolo. Le monete sembrano allo stesso tempo suggerire la preesistenza di un insediamento di II secolo e la cresciuta importanza di Kifrin, soprattutto in termini militari e strategici, a partire dall’età dei Severi, quando l’avanzamento della linea di confine vede l’allestimento di una serie di forti e posti di controllo lungo il corridoio fluviale di ‘Ana (fino a quel momento probabilmente gestito dai Palmireni).