Cartagine

Il Progetto del Parco Culturale e Ambientale della Maalga e dell’area dei Porti Punici, avviatosi nell’ottobre del 2003 e conclusosi nel dicembre del 2005, è consistito in uno studio di fattibilità per la gestione dell'area della Maalga e dei Porti Punici a Cartagine sulla base di indagini archeologiche, topografiche, geologiche, geomorfologiche, urbanistiche ed economiche, e l’ausilio di ricognizioni sul territorio, prospezioni geofisiche, telerilevamento ed elaborazioni informatiche. Il programma, nato per cooperazione italo-tunisina, risale ad una precisa volontà del Governo tunisino del marzo del 2001 e dovrebbe rappresentare una componente del progetto più complessivo del Parco Nazionale di Cartagine-Sidi Bou Said, le cui perimetrazioni e gli studi relativi alle destinazioni d’uso dei terreni tengono conto del sistema dei valori culturali, archeologici e ambientali definiti dalle campagne dell’UNESCO negli anni Settanta del secolo scorso. Di particolare rilievo sono risultate le analisi multidisciplinari compiute, che hanno permesso di offrire, oltre a basilari considerazioni di carattere storico, anche un modello di ricerca pianificata applicabile in altri casi di studio archeologico.

Il programma

L’idea progettuale, mirante a creare un modello a livello internazionale di ricerca e di gestione in senso culturale del territorio, ha avuto tra i suoi punti di forza:

  • la creazione di strumenti di spiccato carattere culturale-storico, atti a valorizzare, tutelare e gestire il patrimonio archeologico dei due siti oggetto di indagine (la Maalga e i Porti Punici) a e facilitare la comprensione del contesto storico, con particolare riguardo per lo studio dell’impianto urbanistico e, soprattutto, territoriale della Cartagine punica, tutt’oggi ancora poco noto;
  • il conseguimento di risultati tangibili nel potenziare il turismo culturale e il marketing territoriale dell’intera area di Cartagine;
  • la realizzazione di uno spazio verde di immediata riconoscibilità, atto ad attrarre non solo il turismo di massa, ma anche quello locale del Grand Tunis.

Tali obiettivi sono stati raggiunti tramite l’intervento congiunto di più aree disciplinari, che collaborando e interagendo fra loro hanno permesso la creazione di un prodotto culturale altamente innovativo garantendo un impegno concreto nella formazione del personale locale tunisino coinvolto nelle diverse tappe della ricerca. Dalle ricognizioni effettuate e dallo studio economico del territorio in esame si sono identificati gli obiettivi e la missione del parco in esame. Si sono quindi definite le strategie a medio e a lungo periodo da adottare e le attività gestionali coerenti con le scelte fatte in modo da produrre strumenti di gestione validi.

Lo studio economico

Si sono prospettati tre scenari che si differenziano in funzione di due variabili principali: capacità di investimento iniziale e complessità degli obiettivi e delle strategie che determinano la forma del soggetto gestore.

  • Ipotesi di breve periodo o conservatrice: il Parco della Memoria, che prevede funzioni di tutela e valorizzazione dell’esistente, con l’obiettivo di una maggiore fruizione.
  • Ipotesi di medio periodo o di sviluppo: il Parco Tematico, attrazione di attività culturali e commerciali all’interno del Parco tramite l’utilizzo degli immobili disponibili (o a tal fine acquisiti e restaurati) e una propulsiva funzione di marketing svolta dal soggetto gestore.
  • Ipotesi di lungo periodo o di sviluppo di un sistema: il Parco Archeologico Multimediale, con una caratterizzazione del Parco in grado di sviluppare alcuni “progetti portanti” di valorizzazione e di “servizio” per tutta l’area e una funzione di sviluppo e di marketing territoriale svolta dal soggetto gestore. Le ipotesi non sono state considerate come alternative: ciascuna rappresenta un possibile stadio di evoluzione della precedente, “contiene” la precedente e si caratterizza per gli elementi aggiuntivi che possono essere realizzati in step successivi, man mano che cresce e si orienta la domanda di riferimento e si rendono disponibili le risorse finanziarie necessarie.

La Maalga

Il territorio della Maalga si estende per circa 150 ettari nel settore a NNE del centro romano di Cartagine. Fin da epoca punica costituiva il fertile territorio extraurbano – l’antica Megara, chiusa a N dal promontorio di Sidi-Bou-Said e da quello di Gammarth e conservante sui lati nord-ovest e sud-ovest i due villaggi arabi della Maalga (Maâlka) e di Douar ech-Chatt, delimitanti l’ubicazione delle cisterne, dell’anfiteatro e del circo romani, e ancora visibili alla fine dell’Ottocento - che forniva i prodotti della terra al centro abitato. Per tale ragione doveva probabilmente essere compreso all’interno di un sistema di controllo che, per quanto presumibilmente privo di una monumentalità architettonica – come il circuito murario in opera quadrata ritrovato sul lato a mare della città –, doveva comunque essere costituito da fossati e posti di controllo per difendere l’insediamento e la sua immediata area rurale-produttiva da eventuali attacchi dall’entroterra.

Sono probabilmente da riferirsi a tale periodo il monumentale complesso delle Grandi Cisterne e i numerosi impianti a carattere idrico isolati, rinvenuti nel corso della ricognizione archeologica del progetto e sparsi su tutta l’area. Tale vocazione agricola e di filtro per la città, la Maalga la mantenne anche in epoca romana, quando fu inserita all’interno della maglia centuriale di cui sono ancora chiaramente leggibili, dalle immagini satellitari e dalla fotografia aerea, numerose tracce sul territorio. In età tardo-imperiale l’area viene scelta dalle prime comunità cristiane come luogo funerario e di preghiera: sulla base dei dati archeologici (Basilica di Bir Ftouha, Basilica Maiorum, Damous el Karita-Domus Caritatis) si può infatti osservare che tutta la porzione orientale dell’areale in esame, da N a S, costituisce un vero e proprio percorso di culto cristiano dal centro urbano verso le basiliche cimiteriali suburbane ed extraurbane. Le scarse testimonianze della successiva presenza vandala a Cartagine sono invece rintracciabili nella Maalga sia dalla lettura dei materiali ceramici del “circuito cristiano”, sia dalla presenza delle mura di difesa costruite sotto l’imperatore Teodosio e venute alla luce o, comunque, leggibili sul terreno, in alcuni punti dell’area in prossimità della recente moschea Abidine. Mancano al momento tracce sicure dell’uso dell’area sotto la dominazione araba, ma qualche piccolo campo agricolo sembra oggi ricordare il tradizionale “giardino produttivo” sostentamento dell’economia familiare araba.

I porti punici

All’interno del progetto si è compresa anche l’area dei porti della Cartagine punica, attualmente rintracciabili come ingombro generale, visibile dall’andamento del terreno (soprattutto per quanto attiene al porto circolare, ancora leggibile), contornati da un quartiere residenziale a ville e giardini. Poco resta delle immagini immortalate tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 che vedevano i due specchi d’acqua immersi in un immenso campo ad orzo. Il sistema originario (databile all’epoca tardo-punica, sulla base della presenza, nell’area, di abbondanti materiali ceramici e di un canale artificiale ad esso anteriore) comprendeva un bacino circolare con un isolotto centrale, collegato a un bacino tendenzialmente rettangolare da cui si aveva l’accesso al mare (secondo le fonti letterarie antiche, in particolare Appiano, e sulla base dei sondaggi eseguiti dalla missione inglese negli anni Ottanta del Novecento). Attualmente il complesso non conserva più lo sbocco a mare originario e i bacini convogliano verso il mare gli scarichi delle costruzioni antistanti, come testimoniano le bocchette poste lungo la circonferenza del porto circolare, il quale presenta un’apertura artificiale recente sul suo lato a mare, originariamente protetto dalle poderose mura, di cui restano ancora resti visibili lungo tutta la costa.

Il complesso dei porti punici risale presumibilmente al periodo compreso fra la Seconda e la Terza Guerra Punica (tra 202 e 146 a.C.) e i due bacini, comunemente noti come porto militare (quello circolare) e porto commerciale (quello rettangolare), sembrano in realtà costituire entrambi la parte eminentemente militare e di cantiere navale della città antagonista di Roma, mentre lo sbocco commerciale era probabilmente rappresentato dall’insenatura del Lac de Tunis, già frequentato fin da epoca micenea. L’indagine archeologica condotta dalla scuola inglese nel porto circolare e in parte confermata dagli scavi tedeschi nel c.d. Quartiere di Magone, più N, e dalla ricognizione italiana attuata per il progetto lungo tutta la costa E, ha messo in evidenza le fondamenta dei moli e della cinta muraria (di cui restano ancora visibili in giacitura secondaria dei blocchi in pietra con grappe a coda di rondine) e, soprattutto, le tracce, fra i vari pilastri della struttura, delle rampe inclinate di una serie di darsene di carenaggio o di bacini per lo svernamento delle imbarcazioni.

La distanza tra le cale, disposte radialmente tanto sulla circonferenza del porto quanto sull’isolotto (anche se con qualche divergenza per adattarsi alla conformazione del terreno), ha permesso sia di definire la presenza di 25-30 alloggiamenti sull’isolotto e 135-140 sul perimetro, sia di ipotizzare le misure di massima delle imbarcazioni cartaginesi. Per quest’ultimo punto, la larghezza media di 5,30 m e la lunghezza di circa 30 m delle cale presenti sull’isolotto lascia supporre che queste fossero utilizzate per alloggiarvi le triremi, mentre gli altri alloggiamenti, della larghezza di 7,30 m e della lunghezza di 38-40 m, dovevano invece ospitare imbarcazioni di dimensioni maggiori. L’isolotto dell’Ammiragliato era in epoca punica occupato da una costruzione esagonale allungata con una corte centrale a cielo aperto per illuminare e aerare gli ambienti interni: si tratta presumibilmente, più che del palazzo dell’Ammiraglio descritto da Appiano, di una piattaforma di osservazione. Nel settore N dell’Isolotto si è inoltre messa in luce una struttura con pavimento a tessere musive in terracotta rossa e marmo bianco, interpretata come un ponte che collegava l’isola alla terraferma. Lo studio dei manufatti ha inoltre dimostrato la presenza di tracce di lavorazione dei metalli, forse pertinenti a una fase di cantiere navale concomitante con la costruzione dei porti.

In epoca romana il porto circolare fu compreso nella griglia urbana nei cardines XIV E e XV E: nel settore NE dell’area scavata si è rinvenuto un edificio a più vani in Opus Africanum, databile all’ultimo quarto del I sec. a.C. Tra II e III sec. d.C. compaiono invece strutture che sembrano indipendenti da un utilizzo portuale dell’area: in particolare si ricordano dei portici sul lato a fronte-porto. L’isolotto dell’Ammiragliato mantiene in età romana una funzione pubblica anche se mutata di significato: vengono infatti eretti due edifici interpretati come templi. Minori dati si hanno invece per il porto rettangolare dove scavi americani e tunisini hanno evidenziato una serie di strutture pubbliche di epoca romana, raccordate da una strada, e sovrapposte ai livelli punici di cui si riconoscono solo scarse tracce della banchina (punica e romana) e, sul fronte a mare, delle poderose mura urbiche, riconoscibili dalla ricognizione italiana di mare e coerenti con i resti presenti su tutta la fascia costiera.

Le analisi multidisciplinari

Le indagini attuate nell’ambito del Progetto del Parco Culturale e Ambientale della Maalga e dell’area dei Porti Punici hanno visto la collaborazione congiunta di archeologi, geofisici, topografi, informatici, urbanisti, botanici. Una prima e basilare tappa dello studio archeologico è consistita nella creazione di un GIS che raccogliesse tutti i dati e fosse funzionale al progetto. Un primo inserimento nel Sistema Informativo Territoriale è consistito nell’includere il Database relativo alle aree indagate nel corso della ricognizione, che sono state, previa georeferenziazione, relazionate alla cartografia di base e alle immagini satellitari a loro volta sottoposte ad elaborazione dal settore cartografico del progetto. La creazione di database relativi al materiale bibliografico e di archivio, e la loro implementazione sono risultati aspetti fondamentali per la strutturazione della successiva ricerca sul campo, oltre a rappresentare un sistema aperto di analisi, continuamente aggiornato, confrontabile con i dati raccolti sul campo.

Grande importanza ha avuto lo studio della documentazione desunta da telerilevamento (fotografia aerea e immagini multispettrali e pancromatiche da satellite). L'applicazione di filtri, basati su modelli perfezionati dal CRAST, ha infatti messo in evidenza alcune anomalie cromatiche sul terreno in esame; tali tracce non forniscono ovviamente un’informazione cronologica o funzionale, ma solo un’indicazione generica di una diversa risposta del terreno, indice di una probabile presenza antropica sottostante. Per tale motivo si è reso importante l’inserimento nel SIT dei dati della ricognizione archeologica. La creazione di una banca dati relativa alla ricognizione è l’esito di un’analisi delle esperienze della ricerca archeologica nel campo (soprattutto della scuola anglosassone), congiunta con le esigenze specifiche del progetto, che deve coniugare il dato storico – necessario alla corretta ricostruzione dell’area in esame nelle epoche antiche – con le necessità di tutela e valorizzazione previste. Si è pertanto creata una “fiche” di ricognizione, corredata da un adeguato supporto grafico e fotografico eseguito sul campo, che fosse funzionale alle diverse richieste al fine di essere interfacciata – tutta o in parte – nel Sistema Informativo del progetto definitivo.

Il metodo utilizzato è stato quello di un field-walking sistematico del territorio oggetto di indagine, che è stato monitorato uniformemente, procedendo per quadrati ”naturali” rappresentati dai campi coltivati e dalle diverse proprietà terriere, percorsi dall’équipe a file parallele, a distanze regolari di 5 o 10 m, secondo la visibilità e lo stato della superficie, la presenza di emergenze architettoniche di interesse archeologico, la visibilità atmosferica e lo stato del suolo (tutti elementi che sono stati riportati nelle apposite schede di ricognizione), al fine di offrire un monitoraggio completo di ogni porzione del territorio. Tali porzioni indipendenti, definite “aree”, sono state sottoposte a una schedatura sul campo di tutti i dati ambientali, topografici e archeologici necessari ad una successiva elaborazione in senso storico, alla documentazione tramite schizzi e repertorio fotografico e al posizionamento tramite GPS palmare (Garmin, GPS 45). All’interno di tali aree, sulla base dell’individuazione di una maggiore concentrazione di materiali rispetto alla media circostante sono stati individuati settori di maggiore interesse archeologico, definiti “siti”, per i quali si è proceduto alla registrazione dettagliata di tutta la documentazione, secondo le procedure sopra descritte.

Per quanto riguarda le emergenze archeologiche principali, si è inoltre eseguito un ulteriore posizionamento con GPS stazionario (in questo caso, in collaborazione con il settore cartografico, si sono utilizzati ricevitori GPS di tipo geodetico, Leica mod. SR-530, a doppia frequenza, al fine di ottenere un posizionamento più puntuale). Accanto all’indagine archeologica tradizionale si sono inoltre operate una serie di prospezioni geofisiche con magnetometro e con il georadar, sia nell’area della Maalga che in quella dei Porti Punici, che hanno permesso di individuare anomalie leggibili come strutture antiche. In un caso – nell’area della Maalga presso Boulevard de l’Environnement – il lavoro congiunto dell’équipe archeologica e di quella geofisica ha permesso l’individuazione di materiali e strutture pertinenti alla fase tardoantica della città e del suburbio, in particolare di un tratto delle mura teodosiane coerente con i resti già messi in luce dalle missioni UNESCO.

Tutti i dati ottenuti sono stati relazionati all’interno del GIS ottenendo piante di distribuzione, di rischio archeologico o di interazione fra i diversi elementi archeologici e antropici, in ultima analisi un utile strumento non solo per lo studio storico ma anche per la tutela e la valorizzazione del paesaggio.

La ricognizione archeologica

Le prime fasi della ricognizione sono state volte a individuare con precisione i limiti del parco archeologico che, sulla cartografia di base, non risultavano circoscritti entro precisi confini soprattutto nel settore sud-occidentale, dove la recente costruzione della moschea Abidine ha cambiato sensibilmente la morfologia del territorio che risultava dalla cartografia al 25000, 5000 e al 2000 utilizzata, dai fotogrammi aerei degli anni 1948-49, 1962, 1982, 1988 disponibili e dalle immagini satellitari del 2001, con la costruzione di un nuovo asse stradale che taglia in senso NNW-SSE l’area a S di Rue Roosevelt, collegando quest’ultima via con Boulevard de l’Environnement. Il settore si presenta particolarmente delicato a causa delle numerose opere di intervento antropico che insistono su un’area risultata ad elevato rischio archeologico: oltre a un tratto del c.d. Muro di Teodosio, preservato nel corso dei recenti lavori meccanici nell’area antistante la nuova moschea (riconosciuto dalla missione italiana del progetto UNESCO come pertinente a una torre a lato della porta urbica che si apriva sul Cardo Maximus) e rintracciabile anche poco più a NNW nell’area indagata dalla missione italiana negli anni Settanta del Novecento, tutta la fascia presenta una elevata concentrazione di materiale ceramico, databile tra l’epoca punica e l’epoca romana-imperiale, e una serie di costruzioni in via preliminare identificabili come cisterne e strutture idriche.

L’indagine sul campo ha evidenziato una serie di fasce di interesse, dove la concentrazione interna dei materiali rinvenuti, omogenea, permetteva di delineare un quadro storico più preciso. La prima fascia corrisponde alla zona a S di Rue Roosevelt e immediatamente sopra di essa, e presenta numerose strutture a probabile carattere idrico (bacini, cisterne, pozzi), che allo stato attuale della ricerca non sembrano organizzate in un sistema unitario come le più note cisterne della Maalga – pur non escludendone a priori una medesima comunanza progettuale - bensì distribuite nel territorio e presumibilmente legate agli spazi adibiti a coltivazione posti in immediata area extraurbana. Il settore ha riportato abbondante materiale, in prima analisi pertinente a un arco cronologico che va dall’epoca punica all’età tardoantica, con particolare accentuazione della fase iniziale e della fase medio e tardo romana.

Un secondo settore di interesse è stato individuato all’estremità NE di Rue Roosevelt e copre tutta la fascia orientale e parte di quella settentrionale: qui la documentazione ceramica risulta inferiore ma si distingue la presenza di ben due edifici di culto cristiani (identificabili con la Basilica Maiorum e la Basilica Bir Ftouha), scavati in parte nei decenni scorsi ma per nulla valorizzati.

Interessanti spunti di ricerca offre anche la fascia W parallela a Rue de la Marsa, dove l’alta concentrazione di materiali ceramici di età romana-cristiana induce a ipotizzare la presenza di aree funerarie, distribuite tuttavia in una zona che allo stato attuale è contraddistinta da proprietà private. Il settore relativo al complesso delle cisterne monumentali si è rivelato, nella porzione meridionale, soggetto a una situazione di forte rimaneggiamento moderno, dovuto alla costruzione del complesso turistico-culturale del Phenix e ai lavori, tuttora in corso, di sistemazione del complesso archeologico delle c.d. Grandi Cisterne della Maalga. Tutta l’area circostante trova comunque una sua costante in una sistemazione a carattere prevalentemente agricolo, connotata da numerose cisterne, anche in questo caso non appartenenti a un sistema compatto come quello delle cisterne monumentali, ma presumibilmente coevo.

Dalla ricognizione risulta invece meno leggibile la facies insediativa di epoca bizantina e medievale-islamica: mancano infatti strutture sicuramente attribuibili a tali fasi e i materiali riconducibili con sicurezza a tale arco cronologico risultano, dal primo esame, scarsi o non particolarmente significativi.

Le prospezioni geofisiche

L’attività del gruppo di geofisica (coordinata dal Dott. S. Piro dell'ITABC - CNR), prevista nel Progetto “Parco Culturale ed Ambientale della Maalga e Porti Punici – Cartagine”, sviluppata nel corso del 2003-2004, è stata suddivisa in due fasi principali. La prima fase è stata imperniata sulla taratura ed integrazione dei metodi geofisici da impiegare sul campo, relative sia alla scelta della configurazione del Gradiometro Fluxgate FM36 (Geoscan) al fine di eseguire le acquisizioni in modalità continua, sia all'integrazione della strumentazione Georadar per cui si sono rese necessarie alcune prove sistematiche al fine di tarare le unità ed il resto dell’apparecchiatura costituita dal SIR3000 e dalle antenne a diversa frequenza. La seconda fase dell’attività è stata caratterizzata dalle missioni nel Parco della Maalga effettuate con lo scopo da un lato di valutare la suscettibilità delle aree ad essere investigate con i metodi della Geofisica Applicata e selezionare alcune zone campione da investigare con il metodo Magnetometrico Differenziale Fluxgate e con il metodo Georadar (Novembre 2003) e nel corso del 2004 per eseguire le vere e proprie campagne di prospezione.

Le superfici investigate con il Metodo Magnetometrico ammontano complessivamente a circa 3.5 ettari, per un totale di 32300 punti stazione. Le indagini con il Georadar sono state concentrate sulle Aree 1 e 4, già investigate con il metodo Magnetometrico differenziale, allargandone le superfici, nell’area del Porto circolare, perlustrando quasi tutta la superficie libera ed infine su una nuova area di fronte alla Moschea Abidine. Nelle aree prese in considerazione sono stati acquisiti un totale di 1056 profili paralleli, di diversa lunghezza, a copertura delle zone selezionate.

Le indagini svolte nel Parco Culturale ed Ambientale della Maalga e Porti Punici – Cartagine, hanno dimostrato l’efficacia delle acquisizioni ad alta risoluzione effettuate impiegando il metodo Magnetometrico Differenziale Fluxgate ed il Georadar nel localizzare le strutture tuttora presenti nel sottosuolo. Inoltre, le mappe ottenute dalla rappresentazione planimetrica (time-slices) delle riflessioni Georadar hanno permesso di seguire lo sviluppo, al crescere della profondità, di tali strutture e di ricostruire la loro reciproca correlazione geometrica. Ciò permette di avere una visione complessiva sia in senso orizzontale (cioè planimetrico) che verticale (al crescere della profondità), dei corpi oggetto di indagine e quindi di fornire utili indicazioni agli archeologi, prima della pianificazione di ulteriori indagini dirette.

Enti partecipanti

Ente coordinatore: CRAST

Partners: Ministero per gli Affari Esteri (MAE), Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC), Ministero del Tesoro, Parco dell’Appia Antica, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali (CNR-ITABC), Institut National du patrimoine de Tunis (INP).

Settore archeologico:

  • Giorgio Gullini, archeologo
  • Elisa Panero, archeologa
  • Francesca Colosi, archeologa
  • Elisa Lanza, archeologa
  • Deborah Rocchietti, archeologa
  • Mohamed Abid, archeologo
  • Moez Achour, archeologo
  • Hamdane Ben Ramdhane, archeologo
  • Souhmaia Gharshallah, archeologo
  • Ali Mansouri, archeologo
  • Chokri Touiri, archeologo

Settore archeologico-subacqueo:

  • Claudio Mocchegiani Carpano, archeologo
  • Nicola Severino, archeologo
  • Luca Mocchegiani Carpano, archeologo

Settore geofisico:

  • Salvatore Piro, geofisico
  • Daniele Verrecchia, geofisico.

Settore topografico:

  • Carlo Alberto Birocco, topografo
  • Paola Martinotti, topografa

Settore economico:

  • Benedetta Stratta, economista
  • Francesco Palumbo, economista
  • Marcello Minuti, economista

Settore Informatico:

  • Andrea Bonamico, geologo

Settore Urbanistico-paesaggistico:

  • Giancarlo Paoletti, architetto
  • Ilaria Ciocca, architetto
  • Simona Messina, architetto
  • Francesco Attorre, botanico